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Il processo fotovoltaico

La conversione diretta dell'energia solare in energia elettrica, realizzata con la cella fotovoltaica, utilizza il fenomeno fisico dell'interazione della radiazione luminosa con gli elettroni di valenza nei materiali semiconduttori, denominato effetto fotovoltaico.
Qualunque sia il materiale impiegato, il meccanismo con cui la cella trasforma la luce solare in energia elettrica è essenzialmente lo stesso.
Consideriamo per semplicità il caso di una convenzionale cella fotovoltaica di silicio cristallino.
Il campo elettrico del silicio cristallino

Normalmente l'atomo di silicio possiede 14 elettroni, quattro dei quali sono elettroni di valenza, che quindi possono partecipare alle interazioni con altri atomi, sia di silicio sia di altri elementi. Due atomi affiancati di un cristallo di silicio puro hanno in comune una coppia di elettroni, uno dei quali appartenente all'atomo considerato e l'altro appartenente all'atomo vicino.
Esiste quindi un forte legame elettrostatico fra un elettrone e i due atomi che esso contribuisce a tenere uniti. Tale legame può essere però spezzato da una certa quantità di energia: se l'energia fornita è sufficiente, l'elettrone viene portato ad un livello energetico superiore (banda di conduzione), dove è libero di spostarsi, contribuendo così al flusso di elettricità.
Quando passa alla banda di conduzione, l'elettrone si lascia dietro una "buca", cioè una lacuna dove manca un elettrone.
Un elettrone vicino può andare facilmente a riempire la buca, scambiandosi così di posto con essa.
Per sfruttare l’elettricità è necessario creare un moto coerente di elettroni (e di buche), ovvero una corrente, mediante un campo elettrico interno alla cella.
Il campo si realizza con particolari trattamenti fisici e chimici, creando un eccesso di atomi caricati positivamente in una parte del semiconduttore, ed un eccesso di atomi caricati negativamente nell’altro. In pratica questa condizione si ottiene immettendo piccole quantità di atomi di boro (carichi positivamente) e di fosforo (carichi negativamente) nel reticolo di silicio, ovvero drogando il semiconduttore.
L’attrazione elettrostatica fra le due specie atomiche crea un campo elettrico fisso che dà alla cella la struttura detta “a diodo”, in cui il passaggio della corrente, costituita da portatori di carica liberi, per esempio elettroni, è ostacolato in una direzione e facilitato in quella opposta. La spiegazione di tale fenomeno si può esemplificare come segue.
Nello strato drogato con fosforo, che ha cinque elettroni esterni o di valenza contro i quattro del silicio, è presente una carica negativa debolmente legata, composta da un elettrone, detto “di valenza”, per ogni atomo di fosforo.
Analogamente, nello strato drogato con boro, che ha tre elettroni esterni, si determina una carica positiva in eccesso, composta dalle lacune presenti negli atomi di boro quando si legano al silicio. Il primo strato, a carica negativa, si indica con N, l'altro, a carica positiva, con P, la zona di separazione è detta giunzione P-N.
Affacciando i due strati si attiva un flusso elettronico dalla zona N alla zona P che, raggiunto il punto di equilibrio elettrostatico, determina un eccesso di carica positiva nella zona N, dovuto agli atomi di fosforo con un elettrone in meno, e un eccesso di carica negativa nella zona P, dovuto agli elettroni migrati dalla zona N.
Il risultato è un campo elettrico interno al dispositivo che separa gli elettroni in eccesso generati dall’assorbimento della luce dalle rispettive buche, spingendoli in direzioni opposte (gli elettroni verso la zona N e le buche verso la zona P) in modo che un circuito esterno possa raccogliere la corrente così generata.
E' importante che il campo "incorporato" sia ubicato il più vicino possibile alla regione del dispositivo che assorbe la luce.
I fotoni della luce che dispongono di sufficiente energia possono strappare un elettrone da uno stato legato ed elevarlo ad uno stato libero nella banda di conduzione del materiale. Si ha così la produzione di due portatori di carica liberi: l'elettrone libero, nella banda di conduzione, e la buca libera, nella banda di valenza.
Il funzionamento della cella solare

La conversione da luce a energia elettrica effettuata dalla cella fotovoltaica avviene essenzialmente perché questi portatori di carica liberi, generati dalla luce, sono spinti in direzioni opposte dal campo elettrico incorporato.
Una volta attraversato il campo, gli elettroni liberi non tornano più indietro, perché il campo, agendo come un diodo, impedisce loro di invertire la marcia.
Perciò, quando la luce incide sulla cella fotovoltaica, le cariche positive sono spinte in numero crescente verso la parte superiore della cella e le cariche negative verso quella inferiore, o viceversa, a seconda del tipo di cella. Se la parte inferiore e quella superiore sono collegate da un conduttore, le cariche libere lo attraversano e si osserva una corrente elettrica.
Fino a quando la cella resta esposta alla luce, l'elettricità fluisce con regolarità sotto forma di corrente continua.
L' efficienza della cella solare

Di tutta l'energia che investe la cella solare sotto forma di radiazione luminosa, solo una parte viene convertita in energia elettrica disponibile ai suoi morsetti. L'efficienza di conversione per celle commerciali al silicio è in genere compresa tra il 13 % e il 20%, mentre realizzazioni speciali di laboratorio hanno raggiunto valori del 32,5%.
I motivi di tale bassa efficienza sono molteplici e possono essere raggruppati in quattro categorie:
riflessione: non tutti i fotoni che incidono sulla cella penetrano al suo interno, dato che in parte vengono riflessi dalla superficie della cella e in parte incidono sulla griglia metallica dei contatti;
fotoni troppo o poco energetici: per rompere il legame tra elettrone e nucleo è necessaria una certa energia, e non tutti i fotoni incidenti possiedono energia sufficiente.
D'altra parte alcuni fotoni troppo energetici generano coppie elettrone-lacuna, dissipando in calore l'energia eccedente quella necessaria a staccare l'elettrone dal nucleo.
ricombinazione: non tutte le coppie elettrone-lacuna generate vengono raccolte dal campo elettrico di giunzione e inviate al carico esterno, dato che nel percorso dal punto di generazione verso la giunzione possono incontrare cariche di segno opposto e quindi ricombinarsi;
resistenze parassite: le cariche generate e raccolte nella zona di svuotamento devono essere inviate all'esterno.
L'operazione di raccolta viene effettuata dai contatti metallici, posti sul fronte e sul retro della cella. Anche se durante la fabbricazione viene effettuato un processo di lega tra silicio e alluminio dei contatti, resta una certa resistenza all'interfaccia, che provoca una dissipazione che riduce la potenza trasferita al carico. Nel caso di celle al silicio policristallino, l'efficienza è ulteriormente diminuita a causa della resistenza che gli elettroni incontrano ai confini tra un grano e l'altro e, ancor più nel caso di celle al silicio amorfo, per la resistenza dovuta all'orientamento casuale dei singoli atomi.
Tutto inizia dalla cella fotovoltaica

La conversione della radiazione solare in una corrente di elettroni avviene nella cella fotovoltaica, un dispositivo costituito da una sottile fetta di materiale semiconduttore, molto spesso silicio, opportunamente trattata.
Tale trattamento è caratterizzato da diversi processi chimici, tra i quali si hanno i cosiddetti “drogaggi”.
Inserendo nella struttura cristallina del silicio delle impurità, cioè atomi di boro e fosforo, si genera un campo elettrico e si rendono anche disponibili le cariche necessarie alla formazione della corrente elettrica.
Questa si crea quando la cella, le cui due facce sono collegate ad un utilizzatore, è esposta alla luce. L’energia che si può poi sfruttare dipende dalle caratteristiche del materiale di cui è costituita la cella : l’efficienza di conversione (percentuale di energia contenuta nelle radiazioni solari che viene trasformata in energia elettrica disponibile ai morsetti) per celle commerciali al silicio è in genere compresa tra il 13% e il 20 %, mentre realizzazioni speciali di laboratorio hanno raggiunto valori del 32,5 %.
In pratica la tipica cella fotovoltaica ha uno spessore complessivo compreso tra 0,25 e 0,35 mm ed è costituita da silicio mono o multicristallino.
Essa, generalmente di forma quadrata, misura solitamente 125x125 mm e produce, con un irraggiamento di 1 kW/mq ad una temperatura di 25°C, una corrente compresa tra i 3 e i 4 A e una tensione di circa 0,5 V, con una potenza corrispondente di 1,5 - 2 Wp.
Poiché la potenza di una cella fotovoltaica varia al variare della sua temperatura e della radiazione, per poter fare dei confronti sono state definite delle condizioni standard alle quali fa riferimento il cosiddetto watt di picco (Wp), relativo alla potenza fornita dalla cella alla temperatura di 25°C sotto una radiazione di 1.000 W/mq e in condizioni di AM1,5.
La caratteristica elettrica delle celle solari

Si è già ricordato che la cella fotovoltaica è sostanzialmente un diodo di grande superficie. Esponendola alla radiazione solare, la cella si comporta come un generatore di corrente.
In generale la caratteristica di una cella fotovoltaica è funzione di tre variabili fondamentali: intensità della radiazione solare, temperatura e area della cella.
L'intensità della radiazione solare non ha un effetto significativo sul valore della tensione a vuoto; viceversa l'intensità della corrente di corto circuito varia in modo proporzionale al variare dell'intensità dell'irraggiamento, crescendo al crescere di questa.
La temperatura non ha un effetto significativo sul valore della corrente di corto circuito; al contrario, esiste una relazione di proporzionalità tra questa e la tensione a vuoto, diminuendo la tensione al crescere della temperatura.
L'area della cella non ha alcun effetto sul valore della tensione; viceversa esiste una diretta proporzionalità tra questa e la corrente disponibile. In condizioni di corto circuito la corrente generata è massima (Isc), mentre in condizioni di circuito aperto è massima la tensione (Voc).
In condizioni di circuito aperto e di corto circuito la potenza estraibile sarà nulla, poichè nella relazione P = V x I sarà nulla la corrente nel primo caso e la tensione nel secondo.
Negli altri punti della caratteristica all'aumentare della tensione aumenta la potenza, raggiungendo quindi un massimo e diminuendo repentinamente in prossimità della Voc.
Il silicio amorfo

Oltre al silicio di tipo cristallino, ultimamente si nota un forte interesse, da parte di diverse aziende produttrici, a realizzare linee di produzione di moduli basati sul silicio amorfo (pannelli solari a Film Sottile o Thin Film).
Con l’amorfo, in realtà, non si può parlare di celle, in quanto si tratta di deposizioni di silicio (appunto allo stato amorfo) su superfici che possono anche essere ampie.
Il silicio amorfo è presente sul mercato già da diversi anni, ma fino ad ora non si era guadagnato una quota di mercato significativa, soprattutto a causa dei dubbi esistenti sulla sua stabilità nel tempo poiché, col passare degli anni, spesso si verificava una riduzione delle prestazioni.
Per questa ragione l’amorfo veniva (e viene ancora oggi) usato soprattutto per applicazioni “indoor”, cioè per alimentare piccoli utilizzatori, come calcolatrici tascabili, orologi, gadget vari...
Di recente si è messa a punto una tecnologia produttiva che realizza più strati di silicio amorfo, la cosiddetta “eterogiunzione”, che sembra risolvere i passati problemi di stabilità.
Per quanto riguarda il costo, il tradizionale silicio amorfo presenta costi minori rispetto al silicio cristallino (mono o multi), mentre l’amorfo a due o tre giunzioni necessita di ulteriori riduzioni di costo affinché possa diffondersi su larga scala.
La produzione delle celle fotovoltaiche

I processi di produzione delle celle fotovoltaiche sono diversi a seconda del tipo di cella che s’intende realizzare.
Le differenze maggiori si hanno nella formazione della fetta di silicio, denominata “wafer”, che è la struttura principale sulla quale verranno eseguiti diversi trattamenti, specialmente di natura chimica, che porteranno alla creazione della vera e propria cella.
Il wafer di monocristallo si produce con il metodo Czochralsky , basato sulla cristallizzazione che si origina immergendo un “seme” di materiale molto puro nel silicio liquido; viene poi estratto e raffreddato lentamente per ottenere un “lingotto” di monocristallo, che avrà forma cilindrica (da 13 a 30 cm di diametro e 200 cm di lunghezza).
Il lingotto verrà drogato P mediante l’aggiunta di boro e poi affettato in wafer aventi uno spessore compreso tra i 250 e i 350 micrometri.
Il wafer di multicristallo si origina invece dalla fusione e successiva ricristallizzazione del silicio di scarto dell’industria elettronica (“scraps” di silicio, come avviene anche per il wafer di monocristallo).
Da questa fusione si ottiene un “pane” che viene tagliato verticalmente in lingotti con forma di parallelepipedo.
Un successivo taglio orizzontale porta alla creazione di fette aventi uno spessore simile a quello delle celle di monocristallo (250 - 350 micrometri).
Rispetto al monocristallo, il wafer di multicristallo consente efficienze comunque interessanti a costi inferiori.
Perché il wafer diventi una vera e propria cella fotovoltaica, occorre (sia per il mono che per il multicristallo) :
-
“pulirlo” mediante un attacco in soda ;
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introdurre nel materiale atomi di fosforo (è il drogaggio di tipo N), affinché si realizzi la “giunzione p-n”. Questo avviene facendo passare lentamente le fette all’interno di un forno, che “diffonde” nel materiale acido ortofosforico, contenente appunto gli atomi di fosforo desiderati ;
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dopo aver applicato un sottile strato di antiriflesso (biossido di titanio, TiO2), si realizzano, per serigrafia o elettrodeposizione, i contatti elettrici anteriori (una griglia metallica che raccoglierà le cariche elettriche) e posteriori (una superficie continua, sempre metallica) ;
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a questo punto la cella viene “testata” mediante una simulazione delle condizioni standard di insolazione (1000 W/mq a 25°C con spettro AM1,5), per poterla classificare e quindi raggruppare insieme a celle aventi analoghe caratteristiche elettriche. Questo passaggio è molto importante per evitare di realizzare dei moduli con celle molto diverse tra di loro, che porterebbero ad una drastica riduzione delle prestazioni del modulo fotovoltaico.
Moduli fotovoltaici: il cuore dell'impianto

I moduli fotovoltaici oggi più comuni sono costituiti da 48-72 celle in serie, che permettono l’accoppiamento con gli accumulatori da 12 Vcc nominali.
Per ottenere i pannelli fotovoltaici, le celle vengono collegate e saldate tra loro mediante terminali sui contatti anteriori e posteriori (in sequenza N-P-N-P-N...) in modo da formare le stringhe.
Si realizza quindi un sandwich avente come parte centrale il piano della cella fotovoltaica e intorno, andando dall’esterno verso l’interno, una lastra di vetro dotata di ottima trasmittanza e buona resistenza meccanica, seguita da un foglio sigillante di EVA (acetato vinil-etilenico) che permette l’isolamento dielettrico dell’adiacente piano delle celle, seguito posteriormente da un secondo foglio di EVA e da un’altra lastra di vetro o un rivestimento isolante in tedlar.
Il sandwich è quindi scaldato in un forno a circa 100°C, temperatura alla quale i componenti si sigillano tra loro, l’EVA passa da traslucido a trasparente e si elimina l’aria residua interna, che potrebbe provocare corrosione a causa del vapor acqueo presente.
Si fissa infine il sandwich così trattato in una cornice d’alluminio estruso anodizzato (per resistere alla corrosione) e si dispone la cassetta di giunzione.
Alcune definizioni:
STC (Standard Test Conditions)
G incidente = 1.000 W/mq
T moduli = 25°C
Spettro = 1,5 AM
Vento = 0 m/s
NOCT (Nominal Operating Cell Temperature)
G incidente = 800 W/mq
T aria = 20°C
Vento = 1 m/s
NOCT tipico = 45 - 50°C
ESEMPIO:
Tipo di modulo |
Pnom. [Wp] |
Impp [A] |
Icc [A] |
Vmpp [V] |
Vo [V] |
Sharp ND-L3E6E |
123 |
7,16 |
8,12 |
17,2 |
21,3 |
Sharp NE-L5E2E |
125 |
4,80 |
5,46 |
26,0 |
32,3 |
Sharp NE-Q5E2E |
165 |
4,77 |
4,46 |
34,6 |
43,1 |
Sharp NT-R5E2E |
175 |
4,95 |
5,55 |
35,4 |
44,4 |
ENERGIA GRIGIA = E’ la quantità di energia necessaria al ciclo completo di fabbricazione di un modulo (estrazione materie prime, trasporto, lavorazione).
TEMPO DI RECUPERO ENERGETICO = E’ il tempo necessario al modulo fotovoltaico per produrre una quantità di energia solare uguale alla propria energia grigia.
FATTORE DI RECUPERO ENERGETICO = E’ il rapporto tra la durata di vita di un modulo fotovoltaico e il suo tempo di recupero energetico (oppure tra Etot ed Egrigia).
CONFRONTO TRA DIVERSI TIPI DI MODULI
|
Unità |
Siicio monocristallino |
Silicio multicristallino |
Silicio amorfo |
Energia grigia |
kWh/Wp |
5-8 |
3,5 - 7 |
2,5 - 4 |
Tempo di recupero energetico |
anni |
3,9 - 6,6 |
2,9 - 5,8 |
2,1 - 3,3 |
Fattore di rimborso energetico |
- |
3,7 - 6,4 |
4,3 - 8,6 |
7,5 - 126 |
Ipotesi: produzione specifica annua = 1.200 [kWh/kWp]; durata di vita 25 anni; senza considerare il tipo di applicazione.
Nella sua vita, un modulo fotovoltaico produce da 4 a 10 volte più energia solare dell'energia che è stata necessaria per fabbricarlo.
Solo i sistemi energetici che utilizzano le fonti rinnovabili hanno un fattore di rimborso energetico
superiore a 1.
Il campo fotovoltaico

Il campo fotovoltaico é costituito da un insieme di moduli fotovoltaici collegati in serie e in parallelo tra di loro.
Collegando in serie i moduli:
La corrente totale del modulo si “adegua” a quella del modulo che genera meno corrente, mentre la tensione globale è data dalla somma della tensione dei singoli moduli fotovoltaici. Un insieme di pannelli solari fotovoltaici collegati in serie costituisce la cosiddetta “stringa”.
Mettendo in parallelo più stringhe di moduli:
La corrente totale del campo fotovoltaico è data dalla somma della corrente in uscita da ogni stringa. La tensione globale del sistema fotovoltaico è invece equivalente alla tensione generata da una singola stringa.
La potenza nominale totale dell’impianto fotovoltaico è pari alla somma della potenza nominale di ogni singolo modulo.
Effetti delle ombre:
La riduzione della potenza erogata causata da un ombreggiamento parziale del campo fotovoltaico può essere non proporzionale alla porzione di superficie in ombra, ma molto superiore.
Occorre prestare quindi molta attenzione ai collegamenti: se, ad esempio, di fronte al campo fotovoltaico si ha un palo, bisognerà fare in modo che l’effetto dell’ombra si senta su una sola stringa e non vada ad intercettare più serie di pannelli fotovoltaici, compromettendo quindi il corretto funzionamento di tutto l’impianto.
E’ come se si stringesse con una mano una canna entro cui scorre dell’acqua, impedendo alla stessa di fluire. Analogamente avviene con le cariche generate dalle celle fotovoltaiche dei diversi moduli fotovoltaici: se un’ombra appare su un modulo, gli elettroni provenienti dai moduli esposti al sole “trovano la strada bloccata” e non possono arrivare “a destinazione”.
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